L’Ovis Orientalis (var. Aragonensis)

Nell’estate del 1997 Asgard Kioskesen ed il suo entourage costituito da Carlo Squallor e Ianni Ossi come aiutanti per il recupero in loco delle sostanze alcooliche e di quelle edibili del bosco si trasferì nel Montiferru per studiare da vicino Ovis Orientalis var. Aragonensis. Il Muflone.

Anche se il nostro etologo se ne andò per gli studi in Sardegna sfruttando il traghetto della Moby ad un euro, storicamente il Muflone qualche secolo fa era molto sviluppato in Sicilia, introdotto da Pietro III d’Aragona dopo lo sbarco di Trapani del 30 agosto 1282. L’ispanica nave infatti salpò da San PietroBurgos carica di aragonesi bipedi e quadrupedi, con grande imbarazzo di chi calcolò in due lunghi mesi la durata del viaggio via nave.

Il muflone in sicilia si accasò comodamente sulle pendici dell’Etna e nella zona circostante, godendo dei vantaggi della dieta mediterranea, dell’aria buona di montagna e di quella salubre del mare. Si sviluppò infatti una specie molto sana e potente tanto da meritare per longevità e dimensione la creazione di una sottospecie individuata dall’etologo francosiculo Salvatore Squillaci nel 1452: Ovis Orielntalis Aragonensis.

Questa sottospecie non ebbe sempre vita facile in terra sicula. Da Aci Castello a Bronte e da Misterbianco a Carruba San Leonardello, infatti, egli veniva sempre malamente apostrofato dai locali “Oh, curnutu” e spesso anche cacciato per la fame (nota: cacciato non nel significato veneto di “parà via”, ma nel significato sempre veneto di “caccià”).

Bestia forte ed orgogliosa più dei siculi, però, il muflone Aragonese imparò a mirare il fonno de li calzuni degli umani, stampando qualche bella cornata ben assestata per vendetta.

Il muflone predilige gli ambienti aperti in aree collinari e rocciose dove potersi nascondere in caso di pericolo. Per il peso del palco soffre spesso di cervicali muflosiche, se sovralimentato per il peso della panza soffre di scogliosi muflosa, per il peso delle palle nei periodi di astinenza soffre di dolori muflolombari. E’ molto metereopatico per essere un animale, tanto che il nonno di Totò Gallianuzzi, famoso conoscitore novantenne dei più famosi proverbi siculi, diceva: “Mufluni nerbosi su lu vulcanu, vinto e pioggia na settimanu”.

Il pelo è molto ispido e di colore fulvo d’estate e bruno fulvo d’inverno. Nei maschi è spesso presente una “sella” di pelo bianco sul dorso, assente nelle femmine. Da qui il detto del nonno di Totò: “L’omo sta bini assittato come a sella del mufluni”.

Nel periodo dell’amore i maschi si scontrano per attirare l’attenzione delle femmine. I conflitti vengono normalmente risolti con cozzate frontali o con combattimenti spalla a spalla, solitamente senza grandi lesioni per gli sfidanti, grazie alla grande ritualizzazione degli eventi. Il nonno di Totò infatti diceva: “Per li danari scortica vivu, per una bedda picciotta nun esseri minchiune ma fatti muflune”.

Il muflone, fortunatamente, oggi non è più a rischio di estinzione, grazie all’attenzione posta nel controllo del bracconaggio. E’ molto sentito anche il problema della competizione con il mercato ovino. Chiaro in tal senso il noto proverbio siculo “Megghio un muflone domanu ca na capra oggi”

La maggior parte degli studiosi ritiene che questi animali siano in realtà una sorta di pecore ancestrali. Ecco, a riguardo, il nonno di Totò: “Si nun capisci nu fattu o na ricurrenza, getta a lenza. Si ancura nun capisci un legame o na discindenza, getta un’altra lenza. Se puri ancura nun capisci se è capra o pollo, mittiti nu cappiu a lu collo”.

Molto sviluppato anche lo stereotipo del muflone inteso come rozzo, mascolino (“donna dammi del mufluni, non solu del capruni”) o come peloso e puzzolente (e questa il nonno di Totò la diceva almeno una volta al mese all’amato salvatore “Dopo a luna chiena, vatti dal berbere, ca chi nun ce va o è un mufloni o nu puzzoliere”).

Il muflone ha prosperato molto nei territori in cui si è introdotto.

A parte in Sicilia, dove rottosi le palle dei proverbi del nonno di Totò, nel 1977 si sparò lo stretto a nuoto a gruppi da 5 per sbarcare in Calabria.

Proverbiale in tal senso il detto, manco a dirlo, del nonno di Totò: “Se troppo rompi li marunni, vidrai mufloni come tunni”.

Il nonno di Totò, pur non facendosi esattamente gli affari suoi, campò oltre cent’anni.

Alla sua morte, avvenuta dal barbiere di AciCamposopra l’indomani di una notte di luna piena, i mufloni riattraversarono il canale per portare le condoglianze a Totò e per assistere alla cerimonia di estrazione dei tappi dalle orecchie del caro figlio del defunto.

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