Il can Tuccio fiorentino

In tempi recenti la Toscana è stata portata alle luci della ribalta dalle problematiche collegate al suo rischio di estinzione a causa dell’ingente numero di persone che ne trafugava sassi. Sebbene l’opinione pubblica abbia potuto tirare un sospiro di sollievo quando alcuni tecnici hanno finalmente constatato che il problema è rientrato, dobbiamo purtroppo riportare l’attenzione su questo fazzoletto di terra, precisamente nella zona delle colline fiorentine, a causa del rinnovato rischio di estinzione del Can Tuccio.

Questa razza di cane è tipicamente rappresentata da cani di razza, con gli occhi a mandorla. La femmina genera i cuccioli sotto forma di impasto primordiale unendo la farina che genera in maniera non dissimile alla forfora umana con il seme fecondante ottenuto dalle uova dell’esemplare maschio. Successivamente si può assistere alle fasi di telecinesi (in cui l’impasto viene mandato in Cina per l’aggiunta degli occhi tipici della razza), di oasi (in cui la femmina porta l’impasto a 180 gradi per 20 minuti) e di aferesi (in cui l’impasto viene separato in più parti in modo da ottenere il numero di cuccioli desiderato dalla famiglia). Normalmente vengono generati un vasto numero di piccoli cuccioli (denominati tecnicamente “Can Tuccioli”), ma non si esclude che in passato (probabilmente in concomitanza con periodo di particolare rigore o punizione) alcuni esemplari abbiano preferito generare un numero ridotto di Can Tuccioli più grandi.

Tipicamente gli esemplari vivono in branco, che in seduta straordinaria tipicamente decreta di andare a vivere in sacchetti trasparenti o opachi, al fine di preservare la specie. Per tenere lontano eventuali malintenzionati, il branco scrive sul sacchetto il proprio nome e la propria razza. Come il Can Tuccio non si sia estinto nonostante le sue scarse capacità di dissuasione del predatore rimane ancora un mistero.

Certi esemplari adolescenti, stanchi della solita aria del sacchetto, decidono ad un certo punto di andarsi a fare una nuotata. Tipicamente si fanno un tuffo in latte e poi non tornano più, arrecando tanto dolore alla famiglia d’origine che esclama tutta in coro “io t’ho fatto, eri pasta della mia pasta”. Il dolore è così grande che si gettano tutti quanti in una sostanza denominata vin santo che, secondo la loro credenza, ha il potere di riunire le anime dei simili.
A parte il fatto che ogni esemplare è facilmente addomesticabile ovvero è molto buono, non è dato sapere altro.

Millicent Flenil, gastroenterologo culinario anglo-saudita

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1 commento

  1. Oh my God.

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